Bobby Solo, al secolo Roberto Satti (il padre non voleva che il nome di famiglia venisse sacrificato sull’altare della musica del demonio suonata dal figlio), è bello, rubicondo, col folto ciuffo scolpito e il fare sicuro. La sua voce profonda e suadente ha cullato, incantato e sedotto generazioni. Tra le varie acrobazie canore, Bobby ha conosciuto fortuna anche interpretando i suoi successi nell’algida lingua teutonica.
Del resto non è il solo: anche Raffaella Carrà, il buon Lucio Battisti, Adriano Celentano, Rita Pavone, Mina e Patty Pravo si sono cimentati in improbabili versioni dei propri pezzi in tedesco, scelta strategicamente azzeccata, sia per assecondare la ben nota fascinazione del popolo tedesco per la cultura italiana sia per cavalcare l’onda di un fenomeno musicale squisitamente mitteleuropeo in voga in quel periodo.
Negli anni ’60 e ’70 il cosiddetto schlager (letteralmente “colpo”, ma il termine designa anche una canzoncina orecchiabile) va fortissimo nell’Europa Centrale, soprattutto in Germania. La musica leggera italiana à la Festival di Sanremo potrebbe esserne l’equivalente mediterraneo: anche le grandi hit dello schlager propongono melodie canticchiabili, facili da ricordare, che si insinuano nelle orecchie dell’amico ascoltatore per non abbandonarle più (“tormentone” si traduce in tedesco non a caso ohrwurm, il “verme dell’orecchio”). Easy listening tra il pop e il folk, i cui temi trattati sono le varie declinazioni dell’amore, raccontato in testi leggeri e senza pretese. Gli interpreti ostentano cotonature da brivido, mullet agghiaccianti e vestitoni da urlo. Il baffone anni ’70 non manca. Re indiscusso di questo fenomeno è sicuramente il nostro amato Heino, con la sua parrucca biondissima e gli inseparabili occhiali.
«Gli Elvis italiani, o almeno quelli chiamati così, erano due. Io e Little Tony. Lui incarnava l’anima rock di Elvis, io quella romantica e melodica. Insomma ce ne volevano due per fare lui» (Bobby solo in un’intervista a Repubblica del 14/08/2017)
Lacrime e struggimenti sono pane per i denti dell’Elvis nostrano, che si dedica strenuamente all’italianizzazione di To Make a Big Man Cry di Tom Jones, che si converte in Per far piangere un uomo del 1966 (notare la modestia di Bobby, che nel titolo preferisce non autodefinirsi big man). Insomma si versano lacrime amare in più lingue e a più latitudini. È una dichiarazione di intenti poliglotta.
Bobby inanella quindi una serie di interpretazioni in tedesco dei propri successi e non solo: Ich sehe dich weinen (reinterpretazione di Se piangi, se ridi), la già citata Du hast ja Tränen in den Augen, Es fällt mir so schwer (“Mi è così difficile”), Eine kleine Abschiedsträne (“Una piccola lacrima d’addio”), Immer wieder liebe ich dich (“Ti amo ancora”, cover di Love me tender sempre di Elvis Presley) e Vielleicht kannst du mich jetzt versteh’n (“Forse adesso riesci a capirmi”). Quest’ultima goccia nella valle di lacrime e incomprensioni è la cover di Anything That’s Part Of You, pezzo del 1961 sempre di Elvis (e di chi altrimenti?), uscita come 45 giri alla conquista del mercato germanico nel 1966.
Come al solito Bobby si ispira smaccatamente alla figura del Re e anche questa volta, oltre a filtrarla attraverso la propria sensibilità musicale, ne cambia i connotati linguistici cantando un testo in tedesco partorito dalla mente del prodigioso Ronny Hein, autore e arrangiatore di musica popolare-folkloristica tedescofona (vale la pena di menzionare il suo contributo al complesso Freudenspender, “i donatori di gioia”).
L’Elvis italiano, anzi, uno degli Elvis italiani che rifà un successo del proprio mito americano in tedesco: le premesse sono stellari. Il pezzo esce sia come singolo sia in altisonanti compilation come Bobby Solo – Seine großen Erfolge (Bobby Solo – I suoi grandi successi). Dev’essere un privilegio e un onore alquanto bislacco comparire, da italiano, in una raccolta di successi rock americani interpretati in tedesco. Un achievement di carriera.
Nel testo originale, senza eclatanti sorprese, si parla dell’abbandono, della fine straziante di una relazione e della ricerca delle tracce di lei, ora assente, attraverso posti visitati, ricordi, profumi e oggetti personali dal potere quasi taumaturgico. In tedesco il risultato è leggermente differente. Innanzitutto, nonostante le prodezze del suo noto bel canto, Bobby conserva un delizioso accento italiano (anche se la “r” sembra quasi bavarese), probabile mossa strategica per accattivarsi il pubblico tedesco creando un retrogusto esotico.