Prima di tutto: poteva andare molto peggio. Secondo: è allo stesso tempo affascinante e inquietante rendersi conto di quanto Mastro Cecchetto abbia influenzato la musica in Italia durante il buiame degli anni ’90. Ed è impossibile confutare il fatto che ci sia effettivamente uno stile, un marchio da riconoscere, in quella che non è né più né meno che un’accozzaglia delle influenze ritenute very cooool in quel periodo, mescolate però con l’atteggiamento arrogante del tizio che in qualche modo se le è guadagnate.
E allora ecco che subito veniamo accolti dall’onnipresente cassa Rotterdam, la quale, non temete, non smetterà mai di tenerci per mano per tutti i 3 minuti e 48 secondi (decisamente troppi) che ci si srotolano dinnanzi dopo aver incautamente premuto il tasto play. In accompagnamento, un chitarrino mezzo funky che Max Pezzali vorrebbe tanto aver inventato e invece ci aveva già pensato un po’ prima James Brown.
Ogni tanto veniamo sorpresi da uno stacco di tastiera e basso all’unisono, probabilmente recuperato direttamente dai nastri scartati di alcune registrazioni che Michael Jackson in persona aveva gettato nei cassonetti del vicolo dietro lo studio di registrazione al grido di “I don’t need this shit!” (mi immagino il Cecchetto appostato in mezzo alla monnezza con un cespo di lattuga in testa che, trionfante, stringe i nastri come se fossero figli suoi).
E, ultimo ma assolutamente non meno importante, un testo che sembra scritto, diretto e interpretato dal Jovanotti dei tempi che furono, quello che tutti noi conosciamo ma, un po’ come in “1984”, ci auto-illudiamo che non sia mai esistito.
Proprio quest’ultimo elemento è quello più interessante, come spesso accade, perché i B-Nario, o chi per loro, vogliono parlarci a cuore aperto di come sia difficile inseguire il proprio sogno e riuscire a realizzarlo senza compromessi in questo mondo brutto, ovviamente lasciandoci intendere che loro ce l’hanno fatta, visto che li stiamo ascoltando con le nostre incredule orecchie. Orecchie che non ci stanno, e pensano che quello che stanno sentendo siano al 70% minchiate e il restante 30% ritornelli (ecco spiegata la durata quantomeno temeraria del pezzo), principalmente perché:
- Cecchetto Productions
- dicono che vorrebbero davvero davvero davvero troppo fare i diggèi, quindi… Fanno i cantanti?
- I versi “Non ti vedono in faccia, non sapranno chi sei / Ma continua questa strada se vuoi fare il DJ” e “Adesso l’ho capito mi ritengo fortunato / che se loro non mi vedono non passo inosservato” non sono in alcun modo supportati da una copertina creata appositamente per farci ricordare il faccione di chi sta cantando e che vuole fare il DJ, ricordiamolo…
- Verso la fine si sentono in dovere di giustificarsi a proposito dei soldi che avranno ricevuto per fare il disco
- “Se tu hai il capello lungo non dar retta a quella gente”: non voglio credere che nel sogno di qualcuno sia compreso l’utilizzo di questa frase all’interno di una canzone (eccezion fatta ovviamente per “Tagliati i Capelli” di Nikki)
- Cecchetto Productions
Insomma, la sensazione è più quella di un testo scritto pensando a quello che la gente vuole sentirsi dire, piuttosto che il (presunto) flusso di pensieri sinceri… E il fatto che il signor B e il signor Nario abbiano continuato a filastroccarsela indisturbati negli anni, passando tra produzioni di Ramazzotti, canzoni scritte da Vasco e tristezze del genere, è la prova che è questo quello che funziona; chi ha bisogno di parole vere e personali quando si può affrontare un argomento qualsiasi in maniera vaga, generalizzando e soprattutto senza esporsi? Quindi vorrei correggere l’asserzione con la quale ho iniziato: poteva andare molto peggio, ma ci voleva così poco per farla andare meglio…
Stefano Caniati
Un giorno lo incontrai, gli ho chiesto “Ma chi sei?”