Il caso volle che nei primi anni ’90 fossi un assiduo ascoltatore del pomeridiano di Radio 105, fu così che quasi per magia un giorno sentii questi versi che, nonostante la mia giovane età mi lasciarono interdetto: «go go lucky, go go lucky / alza più che puoi il tuo sguardo oltre la rete / go go lucky, go go lucky / tuffati con grinta nel più bel gioco del mondo / go go lucky, go go lucky / batti verso l’alto con effetto sorprendente / go go lucky, go go lucky / fissa il punto e centralo come vuoi tu».

Era il 1992 e la pallavolo era diventata il secondo sport nazionale con la squadra azzurra che dal 1990 al 1992 aveva vinto praticamente tutto quello che c’era da vincere (tranne le Olimpiadi). Andrea “Zorro” Zorzi, Luca Cantagalli, Andrea Giani, Glaudio Galli e Andrea Lucchetta erano nomi entrati in tutte le famiglie italiane.
Andrea “Crazy Lucky” Lucchetta era un po’ l’uomo simbolo, vuoi per la sua capigliatura “diagonale”, vuoi per la forte autoironia, vuoi perché i media lo adoravano, così come bambini, mamme, ragazze, nonni e papà.
Di quella generazione d’oro Andrea Lucchetta è stato senza ombra di dubbio il simbolo: campione indiscusso, personalità straripante, simpatia innata, improbabile taglio di capelli (da qui il nomignolo Crazy Lucky) e impegno sociale.
All’apice della carriera il direttore di Radio 105 ebbe la bella trovata di affidargli una trasmissione dedicata alla pallavolo dal titolo Go Lucky Go. Quale migliore occasione per incidere una sigla e un singoletto? Taaac! Eccovi serviti.
Quasi per scherzo Go Lucky Go diventa rapidamente un piccolo tormentone dell’emittente milanese per i classici 15 minuti di notorietà. I motivi? L’accattivante andamento raggamuffin (musica scritta da Roberto Zanetti, quello che scrisse il tormentone discotecaro The Party nel 1988 sotto lo pseudonimo di Rubix) e un testo divertente (opera di tale Remigio Giacalone) scritto mischiando blandi tratti autobiografici con doppi sensi dal sorrisetto facilotto (a livello di Tocca qui degli Articolo 31 per intenderci), e positività a profusione. Insomma il perfetto mix per il suo target market: i teenager (o adolescenti come si soleva dire al tempo).
Lo scherzo dura poco, giusto il tempo di partecipare ad una puntata del Festivalbar e pubblicare il singoletto come musicassetta promozionale e 12” per le discoteche. La canzonetta è ovviamente quello che è, ma ci catapulta davvero in quegli anni che sembranbo molto meno complicati della vita odierna.



Passa un anno e arriva anche il secondo brano questa volta a scopo benefico distribuito come cassetta promozionale con il mensile Tutto Musica e Spettacolo. L’obbiettivo? Sensibilizzare i giovani sul problema dell’AIDS.
Il risultato è Schiacciamo l’AIDS! scritta a ben otto mani dai DJ e produttori Enrico Acerbi, Fabrizio Zanni, Francesco Scandolari e dall’ex Gaznevada Marco Bongiovanni; una canzonetta che potremmo definire house-rap dal piglio divertente come nello spirito del personaggio, ma decisamente meno scanzonata di Go Lucky Go., visto che spesso, invece di promuovere la facilità della prevenzione (con un preservativo), si sofferma a sottolineare lo spettro della morte certa in caso di contagio. In una canzone per ballare non è proprio il massimo.
Se come rapper improvvisato il campione trevigiano fa una figura anche migliore di altri improponibili b-boy veneti come Slang o Nasty D. che proprio negli stessi anni cercavano (ovviamente inutilmente) il successo, il risultato finale è davvero poca cosa, anche se traspare l’intento genuino di Crazy Lucky. In fondo, come volergli male?
La canzone, proposta in 4 mix tutti piuttosto simili, è un rap-dance che un po’ ci ricorda il sound di “Jovanotti For President” sostituendone la componente funky con buone dosi di musica house. Non possiamo meravigliarci che il rap del pallavolista trevigiano sia davvero scolastico e non certo supportato da un grande testo che è sì socialmente impegnato, ma anche piuttosto sinistro in diversi passaggi nei quali, invece di promuovere la facilità della prevenzione, si sofferma a sottolineare lo spettro della morte certa in caso di contagio. In una canzone per ballare non è proprio il massimo.
Il risultato finale è davvero poca cosa, un pastrocchio da dimenticare in fretta, ma comunque traspare chiaramente la sincerità dell’operazione. In fondo come volergli male?