Prima di parlare di Oh! Era ora è doveroso chiarire alcune cose importanti: 1) tralasciamo Adriano Pappalardo dellaTV-spazzatura de L’isola di famosi e delle liti televisive. Ce la facciamo? 2) dimentichiamo la canzone Ricominciamo e tutto ciò che ne consegue. E qui è difficile, lo so… 3) ripercorriamo la carriera di Lucio Battisti fino agli ultimi album, quei “dischi bianchi” senza Mogol. Un Battisti ermetico, con canzoni che si amano o si odiano, ma che sicuramente fanno discutere. Ma che cosa c’entra il Lucio nazionale con quest’opera?
Questa piccola, ma necessaria introduzione serve all’ignaro ascoltatore per inquadrare al meglio lo spirito di Oh! Era ora del 1983, musicato da Adriano Pappalardo con i testi di un allora quasi sconosciuto Pasquale Panella (che compare con lo pseudonimo di Vanera) già paroliere del mai troppo apprezzato Enzo Carella, e, ciliegina sulla torta, l’efficace arrangiamento e produzione di un certo Lucio Battisti.
Non è affatto semplice descrivere un disco così fuori dalle regole: queste otto canzoni sono difficilmente collocabili come genere; il prodotto ricorda molto il primo esperimento di Lucio senza il suo fido paroliere Mogol, quel E già uscito giusto un anno prima di questo album: un album votato all’elettronica con suoni ciclici, ripetitivi e freddi, ma mai banali e ritroviamo anche i testi così eterei e difficili del Battisti ormai abbandonato alla sua nuova strada musicale assieme al poeta ermetico Pasquale Panella.
Il disco si apre con il brano senz’altro più notevole del disco: Signorina. Le prime parole del testo fanno capire che direzione prende il lavoro: «Sfiorare un’acqua svizzera, darle del lei, quell’acqua d’occhi esteri, darle del lei, mi sparivi, tra le stesse dita sue, mi rovini, io mi lascio lavorare e lascio fare» e ancora «E gli amori fanno esatto quel ronzio di Lambretta di lontano per campagne e senza impegni».
La canzone stupisce perché è carina, orecchiabile e ben cantata. La voce di Adriano è profonda, grintosa il giusto e mai eccessiva, perfetta per questo “pop” con testi così particolari, degni di un ascolto approfondito per tentare di capire il contesto, se non addirittura ogni singola frase. Si parla d’amore e di sentimenti in una maniera totalmente nuova.
Le canzoni che seguono la prima chicca forse perdono di immediatezza, ma non rinunciano a testi ipnotici e giochi di parole che ad ogni ascolto assumono sfumature nuove: «M’ha spappolato il cuore passando col rosso fiammante della lingua – mi tingo d’amore» (da Breve la vita felice), o addirittura snaturano l’essenza della canzone, come nel caso del brano Caroline e l’uomo nero: «Questa è una canzone registrata, è chiaro, esatto, giusto o no, non facciamo scherzi per favore niente versi e dopo stop, parlo chiaro o no, qui c’è il coro – Caroline!».
Arriviamo in un attimo all’ultimo brano che dà il titolo all’album, un divertissement che ricorda il brano Pasta e fagioli del buon Lino Toffolo (cioé la parodia della mitica Zuppa romana) ma in versione vegetariana, più poetica ma comunque divertente anche se forse è l’unico brano veramente degno di entrare in una futura compilation di genere.
Giudizio più che positivo per questo lavoro snobbato e quasi dimenticato, che merita sicuramente un ascolto più approfondito, sempre se riuscirete a dimenticarvi del “personaggio Pappalardo” e del suo tormentone.