Adriano Celentano è un personaggio che non ha bisogno di presentazioni, ma pochi conoscono questo suo disco uscito nel 1994 e ritirato frettolosamente dal mercato dopo qualche settimana, ufficialmente per problemi di copyright.
Nel 1994 il cantante era musicalmente morto e sepolto, passando da un flop all’altro; il suo ultimo album degno di nota risaliva a “Svalutation” del 1977, a cui si sono susseguiti dischi assolutamente superflui se non brutti, concentrando i suoi sforzi negli anni ’80 più sul grande e piccolo schermo che nella musica relegata a un piacevole hobby.
Con l’avvento degli anni ’90 la crisi artistico-musicale sembra irreversibile con il pessimo film “Jackpot”, ricordato come un memorabile flop al botteghino e successivamente rinnegato, e con il disco “Il Re Degli Ignoranti” del 1991 che nonostante la qualità gli fa recuperare visibilità nelle classifiche e il conseguente ritorno in TV assieme a Bruno Gambarotta.
In piena mania di onnipotenza, che fa parte da sempre del personaggio Celentano, nel 1994 sforna il suo capolavoro contemporaneo: “Quel Punto” da qualunque parte lo si voglia guardare è insalvabile, a partire dalla pessima copertina in stile “Bisbetico Domato” e soprattutto per l’approccio messianico con cui Celentano snocciola le sue lezioni di vita sotto forma di canzoni che, come già accaduto in passato, si dividono tra tematiche socio-ecologiche e bacchettate ai costumi italiani, non nascondendo una tendenza all’autocelebrazione della sua “celentanità”.
Le composizioni che più colpiscono sono la title track dove affronta l’annoso problema della femminilità in crisi per colpa dei transessuali (!!!) e dei loro ammiratori per i quali prova compassione con liriche davvero memorabili che sembrano essere state scritte dal fratello di Franco Califano; “I Want To Know” (ripresa da “Svalutation”) critica le case moderne con un insistente “I want ciù know” chiedendosi come fa la gente ad abitarci senza sentirsi “inscatolati come acciughe” (il fenomeno non era certo nuovo, risaliva anzi a una quindicina di anni prima).
Ne “Il Seme del Rap” (forse l’apice del disco) Adriano la spara davvero grossa come mai prima d’ora volendosi riappropriare del rap, un genere, a suo dire, inventato da lui stesso con il brano “Prisencolinensinainciusol” del 1972, che viene ripreso all’interno della canzone stessa; non contento denuncia senza mezze parole i rapper che “per amore del successo fan delle gran cazzate per ottenere un applauso in più”, forse invidioso dei grossi riscontri di pubblico ottenuti da gente come gli Articolo 31 che gli risponderanno per le rime (è proprio il caso di dirlo) con “Adriano Vacci Piano”.
Arrivare alla fine del disco è davvero dura, ma lo sforzo viene ripagato da “Uh.. Uh..”, remix della canzone originale di “Bingo Bongo”, una pseudo dance ecologista che se fosse stata incisa da Francesco Salvi sarebbe diventata un tormentone, e dai due brani conclusivi “Rifugio Bianco” e “Sanmatìo”, canzoni corali in stile “montano” che non trovano alcun motivo di esistere nel disco, ma si sa Adriano è una fucina di idee geniali.
Probabilmente per le scarsissime vendite e le polemiche suscitate dal brano “Quel Punto” il disco venne ritirato e Adriano Celentano partì sorprendentemente in tour dopo 15 anni, forse per rientrare delle spese per un disco finito male o forse per cercare di lanciare la carriera musicale della figlia Rosita che lo accompagnerà per tutte le date, promuovendo quel capolavoro di inutilità sonora di “FDM” fortunatamente il suo primo e unico LP.
Mai prima d’ora il “molleggiato d’Italia” era apparso vecchio, banale e difensore populistico del piccolo mondo antico di una volta e per un cantante che di definisce “rock” non c’è peggior destino che essere inevitabilmente e tremendamente “lento”.
Tracklist:
01. Quel punto
02. La casa dell’ amore
03. Rap
04. Il seme del rap
05. Attraverso me
06. I want to know (part I)
07. I want to know (part II)
08. La trappola
09. Ja tebia liubliu
10. La camera 21
11. Uh.. Uh..
12. Rifugio bianco
13. Sanmatìo